martedì 2 febbraio 2021

Apre dal 4 febbraio 2021 nel cuore di Napoli, in via Toledo 66, la nuova galleria Spot Home Gallery

 Spot Home Gallery

di Cristina Ferraiuolo

apre con Andamento Lento

una mostra collettiva internazionale di fotografia



Napoli nelle immagini di 8 artisti

Michael Ackerman, Morten Andersen, Luca Anzani, Martin Bogren, Lorenzo Castore, Cristina Ferraiuolo, Adam Grossman Cohen e Richard Pak.

Dal 4 febbraio al 30 giugno 2021

Opening 4-5-6-7 febbraio 2021

via Toledo, 66 – Napoli

Apre dal 4 febbraio 2021 nel cuore di Napoli, in via Toledo 66, la nuova galleria Spot home gallery con l’intento di diffondere e promuovere la fotografia contemporanea e le sue contaminazioni con altri linguaggi espressivi attraverso mostre, proiezioni, incontri e workshops.

La galleria, nata da un’idea e a cura di Cristina Ferraiuolo, fotografa napoletana, inaugura con la mostra collettiva Andamento Lento, dedicata a Napoli, scenario e pretesto di una fotografia che si colloca in quel magico spazio tra realtà e finzione.

(Opening: 4 – 5 – 6 – 7 febbraio 2021 prenotazione obbligatoria su www.spothomegallery.com)


Otto artisti, provenienti da diverse parti del mondo, esporranno, per la prima volta a Napoli, una selezione di immagini realizzate nella città partenopea, appartenenti a più estesi lavori di ricerca o anche a progetti puntuali. Otto piccole mostre in un’unica esposizione composta da oltre 100 immagini e da un’installazione audiovisiva in uno spazio dedicato.

Fotografi con linguaggi e scritture differenti tra loro ma accomunati da un approccio alla fotografia intesa come espressione soggettiva ed emotiva del proprio modo di essere e di vivere il mondo.


Il fotografo americano Michael Ackerman si immerge nel ventre più oscuro di Napoli, svelando una umanità dolente ritratta con la sincerità di chi sente di appartenervi.

Per il norvegese Morten Andersen Napoli diventa una delle sue Untitled.Cities, progetto ispirato alla fantascienza, nel quale egli, trasfigurando la realtà, crea nuove metropoli di fantasia.

Il napoletano Luca Anzani nelle sue immagini stranianti della serie Amartema fa dell’aleatorio un elemento chiave della sua sperimentazione in camera oscura provocando sistematicamente l’errore attraverso l’uso di supporti di scarto e chimici esausti o impropri.

Lo svedese Martin Bogren tra le tappe del suo progetto Italia ritorna più volte a Napoli, restituendone immagini oniriche e senza tempo, che evocano la dimensione interiore del suo viaggio.

Lorenzo Castore, fotografo fiorentino, presenta l'installazione audiovisiva Sogno 5#, progetto realizzato insieme ad Irene Alison, un racconto di amore e di scoperta, di ricerca e di memoria di un luogo dimenticato di Napoli, l’Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi, a oltre trent’anni dalla sua chiusura ufficiale.

Stone butterfly di Cristina Ferraiuolo è un lungo lavoro di ricerca personale sull’incandescente universo femminile che abita le strade della sua Napoli.

Il newyorkese Adam Grossman Cohen, sfocando i confini tra fotografia e film, tra passato e presente, sceglie di fermare singoli fotogrammi di filmati Super 8 girati a Napoli molti anni addietro, restituendoci fotografie che abitano un tempo fluido.

Il francese Richard Park con la sue serie Les Fiancés (I Promessi Sposi), fotografa le auto parcheggiate in fila sui marciapiedi e ci invita ad immaginare gli amanti di via Alessandro Manzoni nascosti dietro le loro tende di fortuna.


“Andamento lento è una storia di amicizia e di fotografia, di cui faccio parte - racconta Cristina Ferraiuolo -. Ho scelto di presentare una ‘famiglia’ di fotografi nella quale i legami affettivi si intrecciano a corrispondenze artistiche, a un modo di immergersi nel mondo con occhi e cuore aperti. Lavori realizzati nell’arco di oltre vent’anni a Napoli da amici fotografi che mi hanno ispirato e con i quali ho condiviso momenti di vita, la passione per la fotografia e l’amore per la mia città. Gli sguardi di noi napoletani trovano eco nella sensibilità di altri sguardi provenienti da mondi geograficamente lontani per evocare insieme la dimensione emotiva di una città che non si rivela mai fino in fondo. Napoli, il suo caos, luogo ideale ove perdersi per poi ritrovarsi. L’andamento lento è il tempo di una fotografia che nasce da dentro: è il tempo dei pensieri, dei sentimenti, dei sogni, ampio e libero”.


Spot home gallery ha radici profonde nella storia familiare di Cristina Ferraiuolo. Proprio nel tratto di via Toledo che ospita la galleria, suo padre, nel 1974, aprì Spot 2, un negozio di fotografia che per 35 anni è stato il fulcro della sua famiglia. Di fronte c’era il suo studio, divenuto poi la casa dove Cristina ha abitato, costruito la sua prima camera oscura e stampato le prime fotografie, accolto amici artisti che venivano da lontano per scoprire Napoli, alcuni dei quali sono ora accanto a lei nella mostra inaugurale.

E dopo tanti anni vi ritorna con il progetto di fare di uno spazio privato un luogo dove, in un’atmosfera familiare, poter condividere idee e visioni con artisti, collezionisti, appassionati e curiosi, e dare sostegno alla creazione, offrendo la possibilità ad artisti selezionati di trascorrere un periodo di tempo a Napoli e lavorare in libertà alla propria ricerca in dialogo con un territorio, oggetto di esplorazione e fonte di ispirazione.

L’interesse è volto a quegli artisti conosciuti o emergenti che con passione, rigore, coraggio, libertà, portano avanti lavori di ricerca personale che hanno la capacità di emozionare e far riflettere, sollecitando più interrogativi che risposte, suggerendo nuovi modi di vedere e di interpretare il mondo e il tempo vissuto.


Il nome della home gallery Spot non solo rende omaggio al vecchio negozio di famiglia, ma vuole anche abbracciare le possibili declinazioni dei suoi significati: 

spot è il riflettore/spotlight, punto luce sulla ricerca fotografica a Napoli; spot è il punto/point, punto rosso, punto focale, punto di vista; spot è punto di partenza e di incontro, luogo fisico e mentale di promozione e diffusione del linguaggio visivo come strumento di ricerca identitaria e riflessione sociale, vivace fulcro e circuito internazionale della fotografia d’autore che mette in connessione varie realtà; spot è anche il posto/place, punto fermo, casa residenza, da dove si parte per ritornare, dove si è accolti per potersi spingere oltre la soglia e immergersi nei meandri di Napoli.


“Pur consapevoli del generale stato di incertezza e di sospensione, dopo avere rimandato più volte l’inaugurazione nel corso del 2020, abbiamo deciso di aprire Spot home gallery -  aggiunge Cristina Ferraiuolo -. Diffondere arte e bellezza è un’urgenza. Una galleria d'arte è un presidio di senso, deve esistere e resistere.”

 

Biografie e testi artisti

 


Michael Ackerman — Nato a Tel Aviv nel 1967, Michael Ackerman ha trascorso l'infanzia e la gioventù negli Stati Uniti, dove la sua famiglia è emigrata nel 1974. Ha iniziato a fotografare all'età di 18 anni. Nel 1998 ha ricevuto il prestigioso Infinity Award for Young Photographer dall'International Center of Photography di New York.

Nel 1999 la pubblicazione di End Time City edito da Robert Delpire fu uno shock e la rara scoperta di un talento di grande intensità, il suo approccio era nuovo, radicale e unico. Ackerman ci ha dato la sua visione allucinata di Varanasi: un oscuro e tormentato vagabondaggio in una città dove la vita è tanto più intensa quanto più la morte la abita. A questo libro, premiato con il Prix Nadar, è seguita la pubblicazione di Fiction e Half life. Nel 2009 ha ricevuto lo SCAM Roger Pic Award per "Departure, Poland".

Tutto il lavoro di Ackerman esplora il tempo e l'atemporalità, la storia personale e la storia dei luoghi, spinto da un'urgenza esistenziale a volte disperata e solare, violenta e tenera. In bianco e nero, con un rischio permanente che lo ha portato ad esplorare illuminazioni impossibili, ha permesso alle immagini granulose di creare visioni enigmatiche e pregne. Immagini deteriorate e danneggiate, non come scelta stilistica ma come rimando analogico all’esperienza, che non è mai incontaminata.

Il suo lavoro è stato esposto in mostre personali e collettive in tutto il mondo e fa parte di molte prestigiose collezioni internazionali. Dal 1997 al 2015 è stato membro di Agence e Galerie VU’, Parigi. Attualmente vive a Berlino ed è rappresentato da Camera Obscura Galerie, Parigi.

• Le fotografie in mostra sono state scattate durante diversi soggiorni a Napoli dal 2000 al 2016.

" La prima volta che ricordo di aver sentito parlare di Napoli è stata a Varanasi. Penso che era il 1997. Stavo fotografando vicino al fiume e un italiano che capiva quanto amavo il caos che c'era intorno mi disse che avrei dovuto vedere Napoli. Decisi che questo era il posto giusto per trascorrere la fine del Millennio. A Capodanno del 2000, mi ritrovai a mezzanotte, per strada, nascosto dietro un cassonetto della spazzatura, a ridere, mentre i fuochi d'artificio arrivavano da ogni direzione. Vent'anni dopo mi pento ancora di essere sfuggito a quel caos per ripararmi in una noiosa festa borghese.

Nell'estate del 2001 venni di nuovo a Napoli con la mia ragazza, Ala, per una bella vacanza. Andare al mare, nei bar, fare shopping. Tutto troppo bello. Spesso quando provo questo appagamento mi sento frustrato e mi spingo a romperlo. Una sera, abbastanza tardi, le dissi di aspettarmi a casa (proprio nello stesso posto di via Roma dove vi è ora questa mostra). Uscii a cercare qualcosa. Andai in un piccolo vicoletto dove avevo visto una quantità enorme di aghi e siringhe per terra. C'era un uomo in piedi contro il muro. Da lontano alzai la macchina fotografica, ma lentamente, solo fino allo stomaco, cercando di essere invisibile. Mi disse in inglese ‘Vieni qui. Non mordo’. Mentre infilava l'ago scattai molte foto molto velocemente, molto nervoso e toccato dalla sua apertura (lo vidi di nuovo lì, facendo lo stesso, nelle notti seguenti). Tornai a casa e trovai Ala sdraiata sul letto, che leggeva un libro e teneva in mano una Polaroid con un mio ritratto." (M.A.)

 


Morten Andersen — Nato in Norvegia nel 1965, vive a Oslo. Nel 1980, a soli 15 anni, inizia a fotografare gli amici che suonano nelle punk rock band locali e produce le prime fanzine. Negli anni ’80 continua a fotografare per le band e per riviste musicali norvegesi e lavora anche in camera oscura presso un quotidiano di Oslo. Nel 1990 si trasferisce a New York per studiare all'International Center of Photography. La sua prima mostra personale è alla Fotogalleriet di Oslo nel 1992, da allora il suo lavoro è stato esposto in mostre personali e collettive in Nuova Zelanda, Francia, Germania, Grecia, Russia, Italia, Austria, Olanda, Inghilterra, Svezia, USA, Norvegia, Portogallo, Svizzera. Spinto dalla curiosità e dal desiderio di esplorare e indagare luoghi e ambienti, negli ultimi anni ha lavorato esclusivamente su progetti propri, unendo la sensibilità di un occhio documentaristico a uno stile estremamente personale ed emozionale.

Ha pubblicato 24 libri, la maggior parte dei quali ha progettato e pubblicato da solo. "Il libro d’artista, il libro fotografico è stato il modo principale con cui ho scelto di presentare il mio lavoro. Oltre a essere un oggetto d’arte in sé, il libro è un mezzo democratico, accessibile e intimo in cui la somma delle singole immagini e la sequenza creano un insieme che – proprio come in un romanzo o in un film – racconta una storia che ti può condurre in un luogo nuovo, ad esperienze sconosciute.”(M.A.).

I suoi lavori appartengono alle collezioni del Preus Museum, Norwegian Museum of Photography, del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo, nonché a collezioni private a Parigi, New York, Oslo, Atene, Genova, Amburgo, Amsterdam, Vienna, Los Angeles.

Insegna e tiene regolarmente workshops dedicati alla fotografia e alla creazione di libri.

Untitled.Cities • Le fotografie in mostra sono state scattate a Napoli nel 2011. Appartengono al progetto

Untitiled.Cities, da cui il libro, pubblicato nel 2013.

"Ho fotografato in alcune città europee tra cui Marsiglia, Parigi, Mosca, San Pietroburgo, Napoli. È un progetto ispirato alla fantascienza nel quale, unendo foto di diverse città, ho cercato di creare una nuova metropoli fittizia senza nome, in cui realtà e finzione, visione e pensiero, immagine e illusione, si avvicinano o si contrappongono. Non è né una narrazione né un documentario tradizionale, ma una storia visiva in cui riecheggia il panorama sociale e psicologico dell'Europa di oggi. Una fiction basata sulle mie esperienze e fantasie, ma con temi di fondo quali la crisi dell'economia europea, le attuali condizioni sociali e umane. Attraverso scenari di degrado in contrasto con altri futuristici cerco anche di riflettere sul rapporto tra storia, futuro e sviluppo della città moderna. A parte la visione del futuro, può sembrare erroneamente un progetto più documentario, ma non lo è. Il punto è creare una storia fotografica ispirata al cinema e alla letteratura e trasmettere le mie esperienze e i miei incontri, ma poiché come fotografo mi relaziono e lavoro nel mondo reale, ci sarà sempre un lato documentario che colloca il lavoro in un contesto sociale, storico e politico più ampio. È in questo territorio che ritengo che la fotografia sia più interessante e mostri la sua forza e la sua unicità." (M.A.)

 



Luca Anzani — Nato nel 1966 a Napoli, città dove vive e lavora. Laureato in Filosofia, l’artista si interessa da tempo di fotografia come mezzo espressivo e ne coltiva un uso appassionato. Cultore della musica industrial, la sperimentazione costituisce un elemento centrale del suo lavoro fotografico. A partire dal 1995 inizia a fotografare alcuni gruppi musicali napoletani tra cui gli Almamegretta; nel 2001 realizza le foto per il loro CD Imaginaria, vincendo gli Italian Music Awards. Svariate le sue collaborazioni con musicisti quali Raiz, Libera Velo e Svez per i quali realizza copertine e booklet di cd. Nel 2002 espone il progetto Fisheye alla galleria Inside Open di Napoli in compagnia di Marc Quinn. Pubblica i suoi lavori su giornali universitari e collabora alla redazione di articoli di numerose riviste che si occupano di filosofia, arte, letteratura, musica. Dal 2008 al 2012 collabora con l’Associazione Obiettivo Granieri nell’organizzazione di workshops, mostre, eventi fotografici, tra i quali “Nel ventre di Napoli” e “Naples, New Year’s Eve” con Michael Ackerman.

Ha esposto in numerose mostre collettive e personali tra cui “Doni. Authors from Campania” proposta per Imago Mundi, progetto globale di Luciano Benetton. Nel 2012 fonda a Napoli il Centro di Fotografia Indipendente con i fotografi Mario Spada e Biagio Ippolito, dove da 8 anni insegna Fotografia e Camera Oscura. Dal 2015 si occupa di fotografia di scena per progetti indipendenti.

Amartema • Le fotografie in mostra sono state realizzate a Napoli e stampate dall’artista tra il 2012 e il 2020.

“Ho sempre fotografato quasi esclusivamente per me stesso. Quello che amo di più è proprio il lavoro materiale nella fotografia, perciò utilizzo prevalentemente la pellicola con attrezzature e tecniche tradizionali e storiche, come il banco ottico, il medio formato, il foro stenopeico, la cianotipia, la solarizzazione. La mia ricerca fotografica è sempre stata tesa alla sperimentazione, uso spesso attrezzature in disuso perché mi interessa lavorare con mezzi che non sono più necessariamente utili e molto spesso li uso in maniera totalmente scorretta. Amartema è un lavoro nato proprio dall'uso di supporti che dovevano essere gettati via e dalla ricerca di tutte le carte che non erano più prodotte e che non avevo mai visto. E poi ho provato a capire cosa accadeva, che risultati si producevano cambiando le proporzioni delle formule chimiche. Tante prove e tanti errori, è questo ciò che mi interessa.” (L.A.).

A differenza del linguaggio verbale, l’immagine fotografica non può mentire. Si vede ciò che è stato, indubitabilmente. Ma come riconoscere ciò che è stato, se ciò che si vede è sempre dissimile a se stesso? Amartema provoca lo spettatore in questa gara, mostrando che il vero non necessariamente coincide con il reale, ma piuttosto deflagra in molteplici e imprevedibili sviste, che, se non di metterlo a fuoco, ci consentono di attraversarlo.



Martin Bogren — Fotografo svedese nato nel 1967, vive a Malmö (Svezia). Negli anni ‘90 Martin Bogren sviluppa un approccio personale alla fotografia documentaria, seguendo musicisti e artisti svedesi sul palco, in tour e in studio. Il suo primo libro The Cardigans – Been It, pubblicato all’apice del successo del gruppo nel 1996, rivela il suo lavoro e lancia la sua carriera.

Martin Bogren punta però ad andare oltre i lavori su commissione e il campo della musica: si concentra su un lavoro fotografico più personale trovando una sua scrittura originale.

Racconti intimi (August Song, 2019), incontri di viaggio, (Notes, 2008, Italia, 2016), la gioia delle prime scoperte (Ocean, 2008), o lo spleen adolescenziale (Lowlands, 2011, Tractors boys, 2013, Embraces, 2014): attraverso i suoi bianchi e neri sgranati e le sue immagini in scale di grigi, riesce a combinare un approccio documentario con una sensibile e poetica espressione della sua visione soggettiva.

Martin Bogren “riesce a non sconvolgere il mondo entro cui si immerge, con educazione, sensibilità e attenzione, con rispetto, senza giudicare – trattenendo il respiro.” (Christian Caujolle).

Ha ricevuto molti grants e premi prestigiosi, tra i quali il Coup de Cœur ai Rencontres d’Arles in Francia e lo Scanpix Photography Award in Svezia. Le sue fotografie sono state esposte in tutto il mondo e fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private, tra cui il Moderna Museet (Stoccolma), l’Oregon Art Museum (Portland) e la Bibliothèque nationale de France. È rappresentato da Galerie VU’, Parigi.

Italia, di cui vi presentiamo una selezione di fotografie scattate a Napoli, è anche un libro, pubblicato da Max Ström nel 2016.

Tra il 2013 e il 2015 Martin Bogren ha intrapreso un suo personale Gran Tour d’Italia che lo ha portato a viaggiare da sud a nord del paese, fotografando a Roma, Napoli, Palermo, Bologna, Torino.

La sua è una rappresentazione lirica e senza tempo di un paese che sa imprimersi nella memoria, nei pensieri, nei sentimenti, nei sogni.

Italia è un viaggio fuori e dentro di sé, così come egli racconta nel piccolo diario che accompagna il libro: “Cammino senza meta da giorni, ormai. Strada dopo strada. Il cuore pesante, la solitudine come unica compagna. Ho dimenticato perché sono qui e cosa sto facendo. La mano stretta sulla macchina fotografica […] perché fotografo. Ha qualcosa a che vedere con la condivisione, con l’avvicinarsi alle persone. Per vedere quel che accade dentro di me riflesso nel mondo fuori, nelle persone che incontro […] Mi muovo lentamente verso la piazza. Sono pervaso dall’intensità e da una presenza – una connessione con la gente intorno a me. Sento la loro energia, percepisco le loro vibrazioni. La più piccola variazione nelle loro espressioni, i movimenti delle mani, i gesti. Ogni cosa acquisisce un significato. Trattengo il respiro e comincio a fotografare – delicatamente all’inizio. Non voglio perdere quella sensazione.” (M.B.)

 



Lorenzo Castore — Nato a Firenze nel 1973. Vive a Roma. La sua opera, radicalmente intrecciata all’esperienza personale, è caratterizzata da progetti di lungo termine che hanno come tema principale il quotidiano, la memoria e la relazione tra le piccole storie individuali, il presente e la storia.

Alcuni suoi lavori: Paradiso, nato da due lunghi soggiorni a L’Avana tra il 2001 e 2002, premiato con il Leica European Publishers Award for Photography; Nero, realizzato tra il 2003 e 2004, sui minatori del Sulcis; Ewa & Piotr, una sorella e un fratello, una storia intima di un mondo racchiuso in due stanze, realizzata tra il 2007 e il 2013 a Cracovia, città dove il fotografo ha vissuto; Ultimo domicilio, un lavoro diviso in sette capitoli, ciascuno dei quali racconta la storia di una casa, svuotata, chiusa da tempo o abbandonata, svelando l’animo di chi l’ha abitata; nel 2019 esce il primo volume del libro di una vita, un’autobiografia letteraria per fotografie, nella quale i suoi scatti attraversano il mondo, scandendo la sua evoluzione personale e il suo sguardo sul presente.

Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Tiene regolarmente workshops in tutto il mondo dal 2003. Ha pubblicato sei libri monografici: Nero (2004), Paradiso (2006), Ultimo Domicilio (2015), Ewa & Piotr – Si vis pacem, para bellum (2018), Land (2019), 1994-2001/ A Beginning (2019). Ha realizzato due film brevi: No peace without war, diretto con Adam Grossman Cohen (2012), Golden Frog al Camerimage Film Festival come Best Short Documentary, e Casarola (2015).

Sogno # 5 • L'installazione audiovisiva in mostra è un progetto di Irene Alison e Lorenzo Castore, musica e sound design di Emanuele de Raymondi, testi di Irene Alison, realizzato a Napoli nel 2013 (durata 10 minuti).

"Sogno #5 indaga la bipolarità, una disfunzione mentale tipica della nostra società contemporanea. Ho deciso di rappresentarla chiedendo a pazienti bipolari di tornare a recitare - improvvisando partiture fisiche sulla base di una riscrittura emozionale de Il Sogno di August Strindberg - negli spazi un tempo dedicati all'internamento e alla terapia psichica, oggi abbandonati alla negligenza e attaccati dalla forza della natura. Come in un gioco di specchi, il disordine mentale e il crollo dello spazio pubblico si riflettono l'uno nell'altro. A quasi trent'anni dalla sua chiusura ufficiale, l'Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi rimane arroccato con la sua immensa mole proprio nel cuore della città di Napoli. 220.000 metri quadrati di padiglioni, corridoi e stanze nei quali dal 1897 al 2000, quando l'ultimo paziente fu dimesso, si sono sedimentate le storie di quello che è stato il più grande manicomio del Sud d’Italia. Oggi l'Ospedale, totalmente inutilizzato, si presenta come un enorme deposito di ricordi del passato, chiuso al pubblico e sconosciuto agli abitanti della città." (L.C.)

" C’è una città fantasma a Napoli. A oltre trent’anni dalla sua chiusura ufficiale, nel 1983, l’Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi resta arroccato con la sua mole immensa sulla collina di Capodichino. Duecentoventimila metri quadrati di padiglioni, corridoi, ambulatori, nei quali, dal 1897 al 2000 - anno della effettiva dismissione degli ultimi pazienti, 17 anni dopo la chiusura ufficiale dell’ospedale e sei anni dopo la definitiva esecuzione della legge 180 del 1978, che decretò la chiusura degli ospedali psichiatrici in tutta Italia - si sono sedimentate le storie di quello che è stato il più grande manicomio del meridione d’Italia.

Oggi, l’Ospedale Leonardo Bianchi rimane come un enorme monumento al ricordo, inaccessibile al pubblico e sconosciuto persino agli abitanti della città.

Il Bianchi è un labirinto. È un mistero. Una vertigine tra passato e presente. Dalla fascinazione per questo luogo è nata l’esigenza di reinterpretarlo artisticamente. Ma come ridare vita a questi spazi? Come far parlare i muri?

La nostra risposta è passata per la rioccupazione creativa del manicomio e per la sua libera reinterpretazione da parte di un gruppo teatrale composto da pazienti psichiatrici, che hanno portato nei luoghi del Bianchi il loro vissuto, e la loro capacità di rappresentarlo. Gli attori hanno improvvisato partiture fisiche sulla base di una riscrittura de Il Sogno di August Strindberg: le linee dell’opera ci hanno aiutato a far emergere tensioni e memorie, a creare nuove interazioni con lo spazio, raccontandolo col gesto, con la dialettica tra i corpi.

La macchina fotografica di Lorenzo Castore, che ha documentato espressionisticamente l’azione teatrale, ha costruito un racconto di amore e di scoperta, di ricerca e di memoria.

Il percorso visivo corre parallelo a quello testuale, indipendente ma complementare: se ne Il Sogno si incontra, tra le stanze di uno stesso castello, una galleria di archetipi che rappresentano simbolicamente la complessità della condizione umana, noi abbiamo deciso di incontrare e di ascoltare le storie dei testimoni della vita tra le mura del Bianchi. Nei loro racconti, frutto delle interviste di Irene Alison, i codici dello storytelling documentario si contaminano con quelli della drammaturgia teatrale.

La collaborazione con il compositore Emanuele de Raymondi, che ha registrato i suoni delle azioni teatrali – respiri, risate, grida, passi, sussurri – ci ha permesso infine di costruire una partitura sonora che fa da tessuto connettivo all’intero progetto, arricchendone le possibilità di lettura." Irene Alison

 


Cristina Ferraiuolo — Nata nel 1967 a Napoli. Laureata in Economia e Commercio svolge la professione di dottore commercialista dal 1990 fino al 2002. Dal 2000 si dedica con più continuità alla fotografia, sua grande passione, che praticava in modo amatoriale sin da piccola. Nel 2001 inizia a collaborare con il Toscana Photographic Workshop e lavora come assistente di numerosi fotografi italiani e stranieri. Realizza progetti personali a Napoli, L’Avana, Parigi, Buenos Aires, con particolare attenzione a tematiche sociali.

Tra i suoi primi progetti, Ogni giovedì, un lavoro fotografico sulle Madri di Plaza de Mayo.

Dal 2005 al 2012 con l’associazione di cui fa parte, Obiettivo Granieri, cura eventi culturali, seminari e mostre fotografiche, tra i quali, per FotoGrafia Festival di Roma, I bought me a cat, una collettiva di cinquanta fotografe provenienti da diversi Paesi del mondo, Taliannu taliannu, La gioia di vedere oltre il visibile, personale del fotografo sloveno non vedente, Evgen Bavcar.

Nel 2013 realizza un cortometraggio, Rosa, selezionato al Bif&st 2014, Arcipelago Roma 2014, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al Festival I corti sul lettino, Napoli 2014.

Pubblica su diversi quotidiani e riviste, tra cui Le Monde, Libération, L’Equipe magazine, Haaretz, Photograph mag, Gente di fotografia ed espone in alcune mostre personali e collettive a Napoli, Roma, Milano. Nel novembre 2018 pubblica il suo primo libro Stone butterfly, con l’editore svedese Gösta Flemming, Journal, presentato a Polycopies, Paris Photo 2018.

Stone butterfly • Le fotografie in mostra sono state realizzate a Napoli tra il 2002 e il 2018. Appartengono al progetto Stone butterfly, da cui il libro, pubblicato nel 2018.

“Molti anni fa, quando iniziai a fotografare per le strade della mia città, trascorrevo intere giornate vagabondando in vespa, aperta a lasciarmi sorprendere.

È allora che le ho viste veramente per la prima volta, sono riemerse dal mio immaginario e dai miei ricordi di ragazzina, e ne sono rimasta totalmente sedotta.

Sembrano guerriere, fiere a cavallo dei loro mezzi, spinte in una corsa prepotente alla conquista di pochi metri di territorio, pronte a spaccare il mondo, in quel brevissimo momento della vita in cui tutto sembra possibile. La loro bellezza è nell’energia vitale che sprigionano, una forza generatrice che si consuma velocemente come la vita delle farfalle. Ho inseguito le loro traiettorie, ripercorrendo il rituale dei loro movimenti, poi dalla strada piano piano sono entrata all’interno, nelle loro case, nelle loro vite. Qui il movimento e la velocità lasciano il posto a un tempo immobile, in cui si tramanda inalterato, di madre in figlia, un destino già scritto che non prevede ripensamenti. E in questa determinazione è la loro forza.

Stone butterfly è stato un lungo viaggio emotivo e affettivo alle radici della mia identità, in quell’universo femminile in cui ho imparato a riconoscermi e che è un tutt’uno con la città stessa.” (C.F.)

 


Adam Grossman Cohen — Nato a New York City nel 1954. Vive a Berlino. Adam Grossman Cohen è un fotografo e regista di film Super-8 che lavora all'intersezione tra film, fotografia e poesia. I confini tra fotografia e film si fondono, non sono più separati, ora: Immagini in movimento/Immagini fisse.

Qui il Tempo, catturato su pellicola 8mm, diventa qualcosa di fluido, che scorre avanti e indietro, per essere visto e rivisto.

E le città in cui ha vissuto per gran parte della sua vita diventano luoghi in cui esplorare i temi della memoria e dell'oblio, della storia e dell'entropia.

Con ore e ore di riprese per le strade di New York, Barcellona, Marsiglia, Napoli, L'Avana, Cracovia, Porto, Berlino, Lisbona e Odessa, i suoi film cercano di cogliere l'essenza di luoghi in continuo cambiamento, luoghi sommersi dal tempo.

Blind Grace (1993) è un racconto intenso e poetico su persone marginali e su luoghi dimenticati e abbandonati di New York. Fire of Time (2000) è un film realizzato su un luogo al tempo stesso svanito e in via di sparizione, lo storico quartiere a luci rosse e quartiere operaio: il Barrio Chino di Barcellona. No peace without war, diretto con Lorenzo Castore (2012) è la storia di un mondo dimenticato che si consuma dietro le porte di un appartamento di due stanze a Cracovia, dove Ewa e Piotr, sorella e fratello, vivono insieme. Avvicinandosi profondamente ai suoi soggetti, questo film riesce a raccontare una storia straordinaria e inquietante sulla memoria e sulla perdita.

Numerose le sue mostre personali e le proiezioni in gallerie e spazi artistici in tutto il mondo. Molti dei suoi film fanno parte delle collezioni di prestigiosi musei internazionali.

• Le fotografie in mostra sono frames di filmati Super 8 girati a Napoli nel 1996 e nel 2000.

Sono nato a New York, Manhattan. I miei primi ricordi sono nell'oscurità, guardo in alto, i grattacieli sopra ... io sotto a tre anni, in quella città. Ancora oggi ricordo le strade come canyon, come mi sentivo allora e come ancora mi sento, come se camminassi in un sogno, allo stesso tempo distante e spietatamente vero. Mio padre era il fotografo Sid Grossman ed è morto quando avevo 2 anni. Mia madre mi ha raccontato molto più tardi come poi, a 4 anni, camminando da solo con lei, guardai in alto in cielo e dissi ‘Mamma guarda, le stelle sono rotte’. E lo sono ancora.

Anni più tardi, dopo aver studiato pittura, sono tornato, ho preso una macchina fotografica e ho ripreso a scattare fotografie in strada, nelle metropolitane. Era un bellissimo mondo sotterraneo oscuro, ma mancava qualcosa, volevo di più. Iniziai a girare film Super-8, usando la mia telecamera per strada come se fosse una Leica. Ho girato film nelle città ma concentrandomi su quelle parti che presto sarebbero svanite. A New York, Lodz, L’Avana e Barcellona. Ho realizzato Blind Grace e Fire of Time. Sono stato contento per un po’, ma poi non riuscivo ad andare avanti. Iniziai a rivedere film del ‘passato’ e mi resi conto che non era realmente passato. Avvolgere/riavvolgere il vecchio metraggio Super-8 al rallentatore, fermarsi su fotogrammi singoli, le immagini tremolanti sullo schermo che diventano di nuovo ferme, dirette e innocenti come un film muto; andare a casa, tornare alla fonte. La ricerca del piccolo fermo nel lungo flusso di immagini in movimento. Unire passato, presente, futuro, riconquistare il tempo; fare immagini in movimento/immagini fisse.” (A.G.C.)

 


Richard Pak — Artista multidisciplinare nato in Francia nel 1972. La fotografia è la sua forma espressiva, anche se talora vi affianca il video e la scrittura. Sin dai suoi primi lavori è interessato a rappresentare l'intimità nella sfera privata e pubblica. Dal 2003 al 2009 trascorre lunghi periodi negli Stati Uniti condividendo la vita quotidiana di coloro che fotografa, rompendo il confine tra chi guarda e chi è guardato, dall'interno e dall'esterno.

Con Je ne croirai qu'en un Dieu qui danse sceglie l'emozione come tema delle sue opere per indagare le dinamiche tra la folla e l’individuo attraverso un processo di accumulazione e serialità.

Anche la serie Les Fiancés si interroga sull’intimità vissuta nello spazio pubblico.

Nel 2014, durante una residenza artistica, trascorre un anno a intrufolarsi nella vita quotidiana di due fratelli gemelli ‘non proprio uguali’. La serie (fotografia, video e narrazione) affronta il tema della normalità e dello sguardo della società su coloro che sono ai margini.

Sebbene il filo conduttore della sua ricerca artistica sia osservare come vivono i suoi contemporanei e rappresentarne la ‘lotta per la vita’, si interessa anche al paesaggio fotografico.

Nel 2016 ha iniziato un'antologia sullo spazio insulare di cui La Firme è il primo capitolo. La serie ci porta a Tristan da Cunha, il territorio abitato più isolato al mondo e tentativo di ‘un’eutopia’ che risale a due secoli fa.

Le sue fotografie fanno parte di collezioni pubbliche e private, tra cui quella della Bibliothèque Nationale de France. Espone regolarmente in Francia e all'estero.

Les Fiancés • Le fotografie in mostra appartengono alla serie Les Fiancés (I Promessi Sposi), realizzata a Napoli nel 2010.

"Ero venuto a Napoli a trovare Cristina. Mi piaceva l'idea di scoprire la città dalla sua vecchia Fiat scassata. Era scesa la notte; stavamo percorrendo via Manzoni che si affaccia sul golfo di Napoli, sballottati dalle buche dell’asfalto che, a intervalli regolari, era sollevato dalle radici dei pini a ombrello.

Fu allora che ne vidi una prima, parcheggiata sul marciapiede, i finestrini interamente coperti da pagine di giornali. E una seconda... una terza... fino a quando la lunga curva non svelò un corteo immobile di automobili. I finestrini talora erano coperti con cura, talora con evidente fretta. Cristina mi spiegò ridendo: ‘Stanno facendo l'amore!’

Qualche anno dopo sono tornato a fotografare gli amanti di via Alessandro Manzoni. Li ho ritrovati parcheggiati lì, dietro le loro tende di fortuna, giovani amanti in cerca d’intimità o vecchie coppie clandestine. Di giorno e di notte, cercando, con un animalesco istinto gregario, la sicurezza della moltitudine contro i predatori solitari. All'alba, i marciapiedi della strada deserta sono cosparsi di giornali accartocciati, come lenzuola stropicciate, unici testimoni del piacere del giorno prima.

La strada è giustamente intitolata ad Alessandro Manzoni, figura di spicco del romanticismo italiano dell'Ottocento, dal quale ho preso in prestito il titolo del suo romanzo principale, I Promessi Sposi.” (R.P.)

 

L’opening della mostra si svolgerà per quattro giorni consecutivi, dal giovedì 4 febbraio alla domenica 7 febbraio dalle ore 12 alle ore 20 (la prenotazione è obbligatoria sul sito www.spothomegallery.com).

Gli ingressi saranno contingentati nel rispetto delle regole di sicurezza previste dall’emergenza sanitaria.

La mostra sarà visitabile su appuntamento fino al 30 giugno 2021 scrivendo a info@spothomegallery.com.


Tutte le foto della cartella stampa sono scaricabili qui: https://we.tl/t-0pLj1VhDxT


SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

“ANDAMENTO LENTO”

dal 4 febbraio al 30 giugno 2021


Opening 4 – 5 – 6 – 7 febbraio 2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com


Contatti

Spot home gallery

via Toledo n. 66, Napoli

info@spothomegallery.com

www.spothomegallery.com

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

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