La sapienza del segno, del disegno, della visione, dell’azione costante e continua attraverso mezzi tecnici portati ad elevarsi e se vogliamo a soggiacere ad un’idea di Arte per uscire fuori totalmente dalla tecnica.
Quello che fa Fabio Di Lizio trova nella mostra, nel percorso Frequenze, non altro che uno stare all’interno della disciplina e capirne tutti i segreti, creare un cortocircuito della disciplina stessa e conducendoci in un altro mondo.
Cosa significa stare all’interno di una tecnica, di un modo, di una espressione?
Significa carpirne tutti i segreti ed emanciparsi da essi. Diventare uno strumento altro di concezioni, di visioni, esaltando ed affrancando la tecnica stessa, portarla ad un altro livello che implica ed esce fuori dalla bravura, ci porta verso una profondità visiva ed emotiva straordinaria.
Il rapporto con la luce, con il buio, il nero colorato e torno a ripetere, il segno è quasi predominante, ma poi c’è un’azione continua dell’artista che compone, distrugge, rimodifica fino ad avvicinarsi e trovare quella cosa che prima abbiamo chiamato Arte.
Non voglio entrare nei dettagli tecnici della maniera nera, ma la voglio considerare solo come un mezzo espressivo, come possibilità concreta che può avere un linguaggio utilizzato sapientemente, liberandosi di questa esperienza del sapere, della tecnica stessa perché dominata, si possiede la capacità di farla diventare altro.
Farla diventare altro perché l’azione diventa quasi ossessiva e funzionale a questa segretezza della ricerca. Questa ripetuta ricerca su modi imperscrutabili, non definiti, costante di nuove forme, nuove possibilità: come dire imprimere alla materia quella cosa che non ha nulla di virtuosismo ma ha anima e quindi si eleva su di un altro piano.
Io credo che vedendo questa mostra così silenziosa, suggestiva, profonda, lineare, senza nessuna sbavatura uno ne esca molto arricchito, la cosa che diventa evidente, forte, e che forse ci portiamo fuori una suggestione di memorie di assolutezza, e poi ci sono anche i suoni del fare, l'attrito della materia, tagliata o schiacciata che sono fatti di segni, macchine, pressioni, il mescolare i colori, bagnare la carta e allora tutti questi intimi strumenti diventano funzionali non alla realizzazione di qualcosa, ma ad un percorso infinito che può determinare l’arte all’interno di una disciplina.
Frequenze è la dimostrazione viva delle cose che noi in questa epoca, in questo terzo millennio, possiamo pensare confinati soltanto a tecniche oppure a semplici prassi modali, ma che possono diventare linguaggio fertile per visioni speciali.
Cercare un tono, una nuance, cercare l’intensità della materia, la ricerca di una luce coperta, di una forma e circoscriverla con un segno di moltitudine vario quanto finito, collocarla nel suo alveolo stabilito con la profondità del nero e restituirle luce attraverso altre trasparenze.
Cosa importante da dire è che questo lavoro è intimo, forte di un pudore privo di qualsiasi gigantismo, capace di creare un rapporto straordinario di attenzione, di lettura, di godimento e di tempo richiesto da questi piccoli fogli per le infinite trame e segni.
Gesti continui, giornalieri di una azione, di una metodica, di una attenzione per la forma, la profondità, cercando il taglio di luce, l’intensità del segno attraverso un’azione continua quasi abitudinaria, fatta di tentativi, di possibilità, di magie e se vogliamo anche di alchimie, portano ad un livello alto l’opera di Fabio Di Lizio e in questo nero assoluto, che amo profondamente, credo ci sia l’assoluto della mostra Frequenze.
COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA
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