lunedì 16 maggio 2022

Vicende e figure di carta incise nella memoria. Storie di emigranti di Atena Lucana e del Vallo di Diano di Regaliano Tommasoni


 

La scrittrice Giovanna Mulas non ha dubbi: "Non esiste libro che già non sia stato scritto. Anche quelli non riportati sulla carta, vivono. Ogni libro esiste e resiste e non è detto che lo faccia in una delle realtà all’umana portata. Vive attendendo quell’eletto visionario che riuscirà ad amarlo, ad ascoltarne la storia per riportarla su carta affinché anche il mondo, questo nostro mondo, possa finalmente conoscerne l’esistenza".

L’eletto visionario di questo volume è Regaliano Tommasoni, tornato in tipografia dopo la felice esperienza del 2015 con "L’eroica Valle", frutto della passione e dell’interesse per la storia del territorio in cui vive. Stavolta ci propone un’importante pagina di storia di Atena Lucana e del Vallo di Diano, abbracciando idealmente il nuovo mondo, quello oltre oceano, che già prima dell’Unità d’Italia, ha accolto milioni di nostri connazionali.

Il primo flusso migratorio spinse i nostri connazionali verso i Paesi dell’America del Sud (Brasile, Argentina e Uruguay), quindi verso il Venezuela e poi, dalla seconda metà dell’800 verso gli Stati Uniti. Dopo il rallentamento all’espatrio imposto nel Ventennio, il secondo dopoguerra registra un’inversione di tendenza per cui i flussi migratori privilegiano quei Paesi europei in grado di offrire maggiori possibilità occupazionali come Francia, Germania, Svizzera e Belgio.

È evidente che mentre l’emigrazione transoceanica era di lunga durata per cui molti nostri connazionali non sono più ritornati in Italia facendo perdere le tracce, quella europea possiamo definirla stagionale in quanto consentiva di tornare periodicamente a casa e riabbracciare i propri cari.

Quando si parla di emigrazione non si possono ignorare politici e studiosi come Giovanni Florenzano (avvocato, giornalista e deputato al Parlamento, vissuto a metà ’800); Giovanni Camera (avvocato, più volte deputato e protagonista della vita politica del territorio per circa 30 anni tra fine ’800 e inizi del secolo successivo); Giustino Fortunato (anch’egli parlamentare e attento studioso della Questione Meridionale) e Giuseppe Imbucci (docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Salerno e presidente dell’Osservatorio Provinciale per gli Italiani nel Mondo, scomparso alcuni anni fa).

L’Autore non li ha ignorati ricordando il loro impegno e le contrastanti opinioni: il primo (appartenente ad un’agiata famiglia della borghesia), ritenendo che "l’emigrazione toglie braccia all’agricoltura", era decisamente contrario come spiega nel suo saggio del 1874 dal titolo Dell’emigrazione italiana comparata alle altre emigrazioni europee: studi e proposte, pubblicato ancor prima di essere eletto al Parlamento. Favorevole, invece, il giudizio degli altri due che ritenevano l’emigrazione una necessità: se per Giovanni Camera assicurava benefici "non solo a coloro i quali emigravano ma anche alle famiglie che rimanevano in Patria, destinatarie delle rimesse dei loro familiari", per Giustino Fortunato l’emigrazione "ci purgò del brigantaggio e debellò l’usura".

Ogni emigrante è portatore di una storia propria. Quanto sia forte la nostalgia per il proprio paese lo testimonia una breve lettera inviata il 18 marzo del 1931 da Atlantic City, nel New Jersey, dal sarto Dionigi Lorenzo di Roscigno al Podestà del paese, il dottor Silvio Resciniti il quale, ligio alle disposizioni del Governo, dovendo realizzare il monumento ai caduti, si era rivolto ai roscignoli d’America chiedendo loro un sostanzioso invio di dollari. Dionigi Lorenzo così risponde: "Carissimo D. Silvio, Risponte alle vostre due lettere la spiegazione e il contratto della ditta Lagana – Napoli… io ascolto tutto // solamente voglio vedere che cosa mi sapete rappresentare di questo detto Monumente // farete una cosa guarnita, abasta che viene più meglio di quello di bello sguardo. Non più mi prolungo da parte mia ricevete i miei sinceri saluti a voi tutti e sono il tuo aff.mo Dionigi Lorenzo".

Dalla lettera emerge un dato evidente: pur avendo conseguito una certa agiatezza Dionigi Lorenzo non aveva dimenticato il paese natio ma aveva mantenuto anche l’atavica contrapposizione campanilistica all’epoca esistente tra Roscigno e Bellosguardo perché in Italia, e nel Sud in particolare, ogni campanile ha una propria identità! Ed è intorno a quel campanile che si scrive la storia del paese, grande o piccolo che sia.

Diversa ma non troppo la vicenda del calabrese Antonio Margariti il quale circa cinquant’anni fa dopo anni di lavoro negli Stati Uniti decide di tornare per un breve periodo a Sferruzzano; sceso dal treno cominciò a guardarsi intorno spaesato per cui il capostazione lo avvicinò e gli chiese: "Siete americano?". Antonio Margariti lo guardò pensoso e scuotendo la testa esclamò: "Ma in America mi chiamano italiano!". Come dire "Io che sono?".

È facile capire l’amore per il paese di origine di Dionigi Lorenzo ed il dramma esistenziale di Antonio Margariti: sono elementi comuni a tanti altri nostri connazionali che non hanno mai dimenticato il loro paese ed hanno insegnato ai loro figli a parlare la nostra lingua, addirittura il nostro dialetto, considerato che prima di partire i loro genitori sapevano parlare solo quello e non avevano avuto la possibilità di andare a scuola.

I due episodi confermano che uno dei problemi più grandi che i nostri connazionali hanno dovuto affrontare lontano da casa è stato inizialmente quello relativo alla mancata conoscenza della lingua seguito poi dall’identità. Credo che Margariti e Lorenzo siano il classico esempio di quel viaggio anche interiore dei nostri connazionali all’estero su cui si è soffermato con i suoi studi il prof. Giuseppe Imbucci lasciandoci pagine importanti sull’argomento, soprattutto per quanto riguarda l’emigrazione campana, in particolare, quella dei contadini. Merita di essere ricordata l’opera in due volumi "Itaca, il problema del rientro migratorio in Campania", di cui fu coautore e direttore scientifico. Per Imbucci "Ulisse è mito. Attorno alla figura dell’eroe greco si raccoglie l’andare dell’uomo. Egli sfida le colonne d’Ercole, l’antico limite del mondo. Ma questo, prima ancora che esterno, è interiore. Questo contadino campano che va e sfida le colonne d’Ercole è un moderno Ulisse. Il suo viaggio corre estroflesso verso l’esterno, ma è anche interiore. Esprime una mentalità ed una attitudine". Ma come Ulisse anelava il ritorno a Itaca molti nostri connazionali sognavano di far fortuna in America e ritornare in Patria con una condizione agiata.

Non è agevole analizzare un fenomeno che dura da secoli e che ha provocato discussioni e sempre nuovi interrogativi: Quando e perché è nata l’emigrazione nel Sud? Prima o dopo l’Unità? È vero che durante il dominio borbonico non c’era emigrazione? Come si sono sviluppati i flussi migratori? L’emigrazione dobbiamo considerarla un fatto positivo o negativo? Ha portato benessere oppure ha depauperato l’Italia?

A questi interrogativi cerca di dare risposte l’Autore anche perché, considerando che i flussi migratori sono ripresi, ci sono opinioni contrastanti.

Anche se non abbiamo dati certi per mancanza di statistiche l’emigrazione preunitaria era ben presente. Non a caso, l’Autore ricorda la presenza di un Circolo Salernitano-Lucano in Uruguay in cui figurano diversi emigranti del Vallo di Diano e della vicina Val d’Agri. Sappiamo che nel 1843 l’imperatore del Brasile, don Pedro de Bracança, aveva sposato la principessa napoletana Donna Teresa Cristina Maria, figlia di Francesco I, re delle Due Sicilie, e di Maria Isabella Borbone di Spagna, quindi sorella di Ferdinando II; per rendere omaggio alla sposa don Pedro tolse il divieto in atto da tempo con il quale era stata vietata l’emigrazione italiana per favorire quella del Portogallo, paese di origine della dinastia imperiale brasiliana.

La presenza della principessa napoletana, tanto amata dai brasiliani al punto di essere denominata la "madre dei Brasiliani", favorì anche gli scambi economici e culturali fra il Regno delle Due Sicilie e il Sud America e tantissimi intellettuali, impresari e semplici lavoratori partirono per le città del nuovo continente. A Rio de Janeiro si creò una colonia napoletana in cui si inserirono due giovani di Sapri, i fratelli Francesco e Giuseppe Farano, rispettivamente di 19 e 17 anni: emigrati in Brasile, furono aiutati dall’imperatrice e, avendo realizzato una moneta più maneggevole rispetto a quella in uso, furono nominati direttore e vice direttore della zecca.

I numeri dell’emigrazione in Sud America diventano importanti dopo il terremoto del 16 dicembre 1857 che colpì particolarmente la val d’Agri e il Vallo di Diano, se nel febbraio del 1859 il direttore generale della polizia borbonica, Francesco Scorza, sollecita notizie all’Intendente in Principato Citra, essendogli "giunta la voce che a Teggiano per ragion di miseria, la maggior parte dei faticatori di campagna si fanno a chiedere passaporti per l’estero". Invitato a dare gli opportuni ragguagli, il Sottintendente di Sala Consilina, Giuseppe Calvosa, conferma che "i fitti essendo cresciuti a dismisura ed i terreni non essendo molto fruttiferi i coloni appena possono soddisfare il fitto medesimo; restando eglino per conseguenza privi del necessario sostentamento alla vita. Essendo nel decorso anno tornati dall’America alcuni paesani con un migliaio di colonnati, così nella speranza di guadagnare per rimediare ai loro bisogni fanno pensiero di andar via".

Ma l’esodo doveva essere consistente e diffuso se qualche mese dopo (giugno 1859) il diligente Calvosa si occupa nuovamente della questione e scrive: "È marcabile ormai l’emigrazione per l’estero degli abitanti di parecchi comuni del Distretto (di Sala, n.d.r.); e già qualche sindaco ne produce rapporto. Il fine è quello di cambiare fortuna, poiché coloro che tornano conducono vistose somme. Intanto l’agricoltura e la pastorizia viene a risentire come l’incremento della popolazione, che costituisce la forza dello Stato".

Se nel periodo preunitario e nei primi anni successivi all’unificazione i nostri emigranti sceglievano la via dell’America del Sud, nell’ultimo ventennio del secolo fu privilegiata la via degli Stati Uniti, un paese giovane in grado di assicurare migliori condizioni di vita e di guadagni.

Il primo censimento del neonato Regno d’Italia ci dice che la popolazione del comprensorio era di 58.649 persone, un dato più che triplicato rispetto al 1708. Dal 1861 e fino al 1911, per il perdurare della recessione economica, l’emigrazione riprende con maggiore intensità, tanto che la popolazione rimasta supera di poco le 45.000 unità con un decremento di oltre il 23%. Questo significa che c’era un altro Vallo di Diano lontano dai confini. I centri più colpiti dal decremento furono Padula (con una percentuale del 30%, non a caso definito "il paese degli Americani"), San Pietro al Tanagro (28%), Buonabitacolo (24%), San Rufo (20%) e Polla (10%).

Sappiamo anche che nel 1872 emigrarono dalla nostra provincia 4.530 persone (comprese donne e bambini): dal Circondario di Salerno partirono in 140 (di cui 8 donne e 10 bambini) su una popolazione complessiva di 248.576 abitanti; 194 (tra cui 8 clandestini) partirono, invece, dal Circondario di Campagna (103.839 abitanti); 1.657 (di cui 31 clandestini) partirono dal Circondario di Vallo della Lucania (100.109 abitanti) e 2.521 (di cui 105 clandestini) partirono dal Circondario di Sala (86.108 abitanti). Nel primo semestre del 1873 dalla nostra provincia partirono complessivamente 1.575 persone: 61 dal Circondario di Salerno, 136 da Campagna, 591 da Vallo e 787 da Sala. Come si evince dalla lettura dei dati, il maggior numero di partenze si ebbe nei due circondari a sud della provincia (Vallo e Sala), i due comprensori dove si stava peggio dal punto di vista economico e sociale in quanto ai problemi derivanti dalla povertà vanno aggiunti quelli creati dalle bande di briganti che infestavano i monti del Cilento e del Vallo di Diano.

Il grosso delle partenze si ebbe nel periodo tra il 1884 e il 1915 quando dal Vallo di Diano emigrarono circa 55.000 persone con una media annua di poco superiore alle 1.400 unità. La punta massima si verificò nel 1887 con 2.675 emigrati ed i centri maggiormente interessati al fenomeno risultarono Sala Consilina, Atena Lucana, Polla, Padula e Montesano. Nello stesso periodo preso in esame da Atena Lucana partirono 2.852 persone, con una punta massima di 198 partenze nell’anno 1892.

L’emigrazione non ha mai risparmiato i giovanissimi che venivano praticamente venduti a compra-chicos senza scrupoli che li portavano all’estero dove erano costretti a vivere in condizioni disumane e a svolgere attività troppo pesanti per la loro età.

Come ampiamente riportato dalla stampa oltreoceano, questi ragazzi erano costretti a chiedere l’elemosina oppure fare i lavori più umili come quello del lustrascarpe. E se non guadagnavano abbastanza ricevevano bastonate ed erano costretti a dormire senza cena su un misero giaciglio. Uno dei primi a denunciare il triste commercio fu proprio Giovanni Florenzano.

Solo nel dicembre 1973, dopo un attento studio del triste fenomeno ed un lungo dibattito, e dopo che la Francia ed altri paesi vietarono l’ingresso dei fanciulli sul loro territorio, il Parlamento italiano approvò una legge a tutela della puerizia: "Proibizione d’impiego di fanciulli in professioni girovaghe" intesa a spezzare una tradizione negativa e a mettere fine ad una piaga che non interessava soltanto le regioni del Sud ma anche regioni del Nord e, in particolare, il Piemonte e l’Emilia Romagna.

Il desiderio di andare all’estero era molto forte anche tra i ragazzi che guardavano all’America come l’unico modo per lasciarsi alle spalle una situazione sociale difficile. Emblematiche le parole di un ragazzo di tredici anni addetto al controllo di una mandria nei pressi di Campotenese. Nel 1910, interrogato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui problemi del Mezzogiorno, rispondendo alla domanda rivoltagli dall’on.le Francesco Saverio Nitti su cosa volesse fare da grande, candidamente affermò: "Aspetto di farmi grande per andare in America". Nella successiva relazione al Parlamento Nitti scriveva: "Qui (nel Sud, n.d.r.) non ci sono che poche Leghe, non vi sono scioperi, non vi sono lotte. L’unica cosa che può fare chi non vuole partire è quella di rassegnarsi a partire".

Da allora è trascorso un secolo ma le parole del ragazzino calabrese e quelle della relazione di Nitti ci confermano che il Sud aveva notevoli problemi sociali ed economici e che l’America era ormai il sogno di tutti. Ma, come sappiamo dai libri di storia, dalle cronache dei giornali oppure dal racconto dei nostri nonni, non per tutti il sogno di migliorare la propria posizione si è avverato. Non tutti sono riusciti a "fare fortuna"; per molti il sogno si è tramutato in un incubo ma raramente ne abbiamo avuta notizia in Italia. Sappiamo soltanto che molti nostri connazionali partiti per l’America, non riuscendo a mettere insieme i soldi per il viaggio di ritorno, erano costretti a chiedere aiuto ai vari Consolati.

Il volume di Regaliano Tommasoni offre una duplice chiave di lettura in quanto, oltre all’aspetto prettamente storico relativo ai nostri connazionali all’estero, rappresenta un’occasione di discussione su un fenomeno ancora attuale.

Oltre a ricordare i nomi di coloro i quali hanno dato lustro all’Italia c’è un lungo exursus per analizzare la situazione socio-economica del territorio con elementi che si intrecciano e si completano: dalla propaganda delle compagnie di navigazione alla partenza in treno dalle stazioni del Vallo di Diano o della Val d’Agri; dall’imbarco a Napoli o a Genova all’arrivo negli Stati Uniti dove, una volta sbarcati, venivano convogliati a Ellis Island prima di essere avviati alla sede lavorativa ove erano attesi. Né viene ignorato il prezioso lavoro della Chiesa i cui esponenti erano spesso l’unico punto di riferimento: Francescani, Pallottini, Redentoristi, Salesiani, Scalabriniani hanno svolto un lavoro di accoglienza e di rapporto con le famiglie davvero prezioso se consideriamo che almeno nella prima fase migratoria i nostri conterranei, quasi tutti contadini, non sapevano leggere e scrivere.

Per quanto riguarda i nomi di coloro i quali hanno lasciato un segno importante nei paesi dove si erano trasferiti l’elenco è particolarmente lungo. Oltre ai già noti John Martin (il trombettiere del generale Custer nella battaglia di Little Big Horn), Joe Petrosino e Filippo Gagliardi, troviamo Italiani di prima o di seconda generazione quali l’ingegnere-musicista Frank Paul Magagnoli, il medico del grande tenore Enrico Caruso, Giuseppe Di Santi, l’avvocato-pilota Filippo William Caporale, il generale Gentile, il giudice John Leopold Sirignano, il lustrascarpe del presidente USA Roosevelt, Joseph Priore, che mise insieme un’enorme fortuna, il pioniere della corsa all’oro in Alaska, Antonio Braica, il campione di basket Vinny Del Negro, Andrew Lopardo che ospitò Armando Diaz e la famiglia Puppolo. Tutti hanno mantenuto rapporti con i paesi di origine.

Non è retorica sostenere che, probabilmente, è proprio l’identità a spingere oggi i nostri connazionali, soprattutto quelli che oltreoceano hanno "fatto fortuna", a voler recuperare il rapporto con le loro origini. Un esempio in tal senso è offerto da Maria Felitto che, pur avendo sposato uno scozzese, ha impartito ai figli un’educazione tipicamente italiana. Naturalmente, questo non dipende solo da loro ma anche da come sapremo accoglierli noi. Senza dimenticare che oggi l’Italia deve fare i conti con la "fuga dei cervelli". Oggi assume particolare importanza cercare di riavvicinare gli Italiani all’estero ai loro luoghi di origine ed ai congiunti per cui è importante dare spessore al tema dell’emigrazione per meglio comprendere e studiare il fenomeno in modo da creare un terreno più favorevole alle scelte di politici e amministratori.

Non a caso, memore del ruolo svolto oltreoceano nei due secoli precedenti, la Chiesa continua ad occuparsi del fenomeno non solo in termini di aiuti concreti ma anche promuovendo studi sul fenomeno attraverso la Fondazione Migrantes che da anni pubblica "Italiani nel Mondo", un articolato ed interessante rapporto. Per la sua redazione la Fondazione ha chiamato a raccolta un gruppo di enti ed associazioni (Acli, Inas-Cisl e M.C.L.), vicini all’area ecclesiale, e la Congregazione dei Missionari Scalabriniani, ancora oggi molto radicati nel mondo dei migranti.

Il volume di Regaliano Tommasoni ed il rapporto degli Italiani nel mondo possono essere un utile strumento di discussione per analizzare il fenomeno migratorio da e per l’Italia. Un fenomeno che oggi come ieri, interessa anche il Vallo di Diano.

L’auspicio è che questa ricerca possa circolare soprattutto tra i giovani che non devono valutarla in chiave esclusivamente nostalgica ma come possibilità di discussione e di valutazione attraverso la conoscenza, l’esperienza e gli insegnamenti del passato ma con la mente rivolta al presente e, principalmente, al futuro.

Studiare il passato significa anche far rivivere la memoria. Credo che il miglior modo per farlo sia quello indicatoci dall’etnoantropologo Ernesto De Martino che ai paesi del nostro Mezzogiorno ha dedicato studi e ricerche: "Per tenere in vita il villaggio vivente della memoria bisogna tornarci non solo con il ricordo, ma qualche volta anche in pellegrinaggio". Ed è quello che propone Regaliano Tommasoni con questo volume.

Giuseppe D’Amico


 


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