SALERNO CLASSICA
Fondazione Carisal
IncontriAMO la Musica
San Michele in Musica
Incontri tra note e sapori
Presenta
Freschezza e Gioventù
Davide Cesarano pianoforte
Salerno 26 settembre
Complesso di San Michele Sala del Cenacolo
Salerno, venerdì 19 settembre
ore 20:00
Complesso San Michele
biglietto PostoRiservato euro 25+ Diritti
Info.:
cell.:+39 3928435584
salernoclassica@gmail.com
Salerno Classica: Freschezza e Gioventù
Penultimo appuntamento, venerdì 26 settembre alle ore 20, per “San Michele in Musica”, rassegna giunta alla sua seconda edizione, realizzata da Gestione Musica, con la sua direzione composta dal Presidente Francesco D’Arcangelo e il direttore artistico Costantino Catena, che ritorna nell’antico complesso per incontri tra musica, arte e gusto, che nascono dalla consolidata sinergia tra Salerno Classica e la fondazione Carisal. Serata dedicata ai giovani musicisti con Davide Cesarano interprete del concerto n°4 di Beethoven. Degustazione di alici di Menaica e vini della cantina Villa Raiano.
Penultimo appuntamento, venerdì 26 settembre alle ore 20, per “San Michele in Musica”, rassegna giunta alla sua seconda edizione, realizzata da Gestione Musica, con la sua direzione composta dal Presidente Francesco D’Arcangelo e il direttore artistico Costantino Catena, che ritorna nell’antico complesso per incontri tra musica, arte e gusto, che nascono dalla consolidata sinergia tra Salerno Classica e la Fondazione Carisal.
La serata dal titolo “Freschezza e gioventù” è dedicata al futuro della musica. In uno spirito di promozione delle eccellenze si darà spazio ad un ensemble di giovani artisti selezionati nel corso delle masterclass musicali MusicAlburni che si svolgono in estate presso Sicignano degli Alburni. Il pianista Davide Cesarano, pupillo del Maestro Catena, con Sofia Di Somma e Leonora Pacitto al violino, Luigi Ripoli alla viola, con i Maestri Francesco D’Arcangelo al violoncello e Gianluigi Pennino al contrabbasso, eseguiranno il Quartetto n. 8 in do minore, op. 110 di Dmitri Shostakovich e il Concerto n.4 per pianoforte e orchestra in Sol Maggiore op.58 (arr. per pianoforte e archi di V. Lachner) di Ludwig van Beethoven. “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio” il Quartetto inizia con la presentazione della “firma musicale” di Šostakovič. Questo breve motivo ripiegato su stesso si presenta per la prima volta strisciando tra le quattro voci a diverse altezze fino ad arrivare ad una prima affermazione univoca e unisona. Questa prima illustrazione del motivo DSCH in stile fugato può ricordare l’inizio del Terzo Movimento della Sinfonia n.9 di Beethoven: la musica del compositore pietroburghese rappresenta però una rilettura in chiave novecentesca, e certamente più aspra e terragna, della sonorità angelica e divina che traspare dai legni che danno inizio al movimento della Sinfonia di Beethoven. Per restare sempre sul modello beethoveniano, non è fuori luogo citare come possibile ipotesto l’incipit del Quartetto op.131, costruito anch’esso in stile fugato a partire da un motivo di 4 note. Subito dopo l’esposizione di questo micro-tema entriamo nel vivo di quella che abbiamo chiamato “autobiografia musicale”: la prima citazione che incontriamo fa riferimento alla Prima Sinfonia, la composizione preparata per l’esame finale del Corso di Composizione al Conservatorio che lo aveva reso celebre in poco tempo al panorama musicale europeo degli anni ‘20.La melodia vivace e baldanzosa della tromba che sentivamo nella Sinfonia viene qui rappresentata nel suo stato “invecchiato” e “devitalizzato”, privata com’è della spensieratezza e dell’ardore giovanile.Questo progressivo invecchiamento terminale appare chiaramente manifesto nel modo successivo di trattare l’organico cameristico: le dolenti discese e salite cromatiche del violino, che obbediscono al topos del dolore come successione per semitoni di note e che hanno l’aspetto quasi di un’ “antimelodia”, si stagliano sul panorama morto e arido che offrono gli altri archi i quali, suonando sulle corde vuote, non hanno possibilità di procurare nessuna vibrazione vitale al pianto del primo violino.È qui però che Šostakovič ci stupisce: egli non si ferma alla sola visione passiva della propria desolazione ma, inserisce una marcia più alta, facendo esplode un urlo nero senza speranza. “…al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?” Non c’è più spazio per le illusioni: Dresda, come il cuore del compositore, è un luogo completamente distrutto e privato della linfa vitale.Il violino riprende il movimento ritmico dattilico del primo movimento e lo porta allo stremo in una fuga senza direzione e senza meta alla quale fanno da contrappunto gli accordi strappati, alcune volte sul battere e altre in controtempo, del resto dell’organico. Ritorna anche la sigla DSCH, Šostakovič ce la ricorda presentandola ormai sotto forma di schegge impazzite che partono in tutte le direzioni più ossessiva o inquietante. L’atmosfera cupa e ottenebrata dal cromatismo più sfrenato acquista mano a mano potenziale elettrico e, dopo un terribile climax, esplode. Sugli accordi in terzine di viola e violoncello, che già di per sé emanano una potenza sonora di ripieno orchestrale, viene presentata una melodia dei due violini a due ottave di distanza costruita sulla scala orientale, e più propriamente ebraica, che Šostakovič aveva già usato nel suo Trio n.2 per Pianoforte, Violino e Violoncello.
Con un taglio netto e deciso Šostakovič interrompe il secondo movimento e dà il via ad un altro Allegro (questa volta Allegretto) dove l’orrore e il terrore lasciano lo spazio al grottesco e al macabro. “Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese.” L’immancabile motivo DSCH apre questo movimento con una sonorità decisamente aspra e stridula per lasciare immediatamente il posto ad un tempo ternario che invita alla danza. È proprio un valzer mortuario quello che si svolge nel terzo movimento, costruito, anch’esso sul DSCH, ma suonato in punta di piedi: piedi sì, ma di scheletri. Dopo la ripetizione di questo valzer sghembo si profila uno scenario così orrendo che, a parere di chi scrive, rappresenta il momento più terrificante dell’intera composizione. “Oscillavano lievi al triste vento.”“È il KGB che bussa alla porta di mio padre”. Pare che siano state queste le parole di Maxim Šostakovič quando gli venne chiesto cosa simboleggiassero i colpi pesanti che il padre aveva stampato all’inizio del quarto movimento. Mentre il resto dell’organico prorompe in queste brusche percosse il violino primo si porta dietro dal movimento precedente un interminabile la#, per poi accennare alla melodia gregoriana del Dies Irae, la sequenza più nota della messa esequiale.Di qui non si può andare più in basso, ed è così che dopo un nuovo intervento dei colpi sul fortissimo, s citazione sia del terzo movimento della Quinta Sinfonia, sia degli accordi orchestrali nella Marcia Funebre del Crepuscolo degli Dei wagneriano, appaiono due altre evocazioni il canto rivoluzionario “Vittima di una terribile prigione”, e la “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”, Katerina.“E dalla notte, lugubremente listata di nero, scorreva, scorreva un rigagnolo di sangue purpureo.” Un ulteriore e finale Largo, questo quinto movimento, che presenta gli stessi elementi del Largo iniziale.Non c’è direzione, non c’è metà, niente cambia e tutto resta uguale in uno stato di amorfismo piatto e incolore. Per un’ultima volta compare il nome del compositore ma questa volta si è davvero giunti alla fine e non c’è altro da aggiungere perché le forze hanno ormai lasciato definitivamente questo corpo invecchiato che, obbedendo all’indicazione “morendo” in partitura, si chiude nel silenzio del nulla di una morte atea.
Si passerà, quindi, alla esecuzione di un concerto rivoluzionario, Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra in sol maggiore, op. 58. Come avviene in molta parte della produzione matura di Beethoven è il ritmo a portare per mano il discorso, lavorando su cellule minuscole perfette per tornare a bussare in tutte le sezioni della forma. Anche il conflitto tra i temi principali nasconde un Dna comune; ed è proprio il continuo picchiettio ritmico della prima idea a garantire l’emersione di numerosi episodi visionari in cui Beethoven sembra dimenticarsi momentaneamente del tempo. Con l’Andante con moto l’impressione è che la sala da concerto si trasformi improvvisamente in teatro. Beethoven lavora sul drammatico confronto tra due personaggi contrastanti (Orfeo che placa le furie, avrebbe detto Liszt): da una parte i soli archi, alle prese con un’idea brusca e tagliente; dall’altra il pianoforte con il suo tema serafico e immateriale, che non tarda a contagiare la furia dell’orchestra. Ma proprio quando le forze sembrano essersi definitivamente spente, ecco emergere dall’ultima nota dell’Andante un Rondò energico e vivace, che nasce sottovoce prima di esplodere in tutta la sua robustezza emotiva. Il tema sembra perfetto per un finale virtuosistico da consegnare allo stupore del pubblico; ma non è nelle acrobazie del solista che risiede l’interesse di Beethoven: inflessioni cameristiche, episodi cantabili, oasi di distensione lirica e divagazioni sognanti si allineano in un percorso del tutto incapace di esuberanze puramente spettacolari.
Penultimo appuntamento, venerdì 26 settembre alle ore 20, per “San Michele in Musica”, rassegna giunta alla sua seconda edizione, realizzata da Gestione Musica, con la sua direzione composta dal Presidente Francesco D’Arcangelo e il direttore artistico Costantino Catena, che ritorna nell’antico complesso per incontri tra musica, arte e gusto, che nascono dalla consolidata sinergia tra Salerno Classica e la Fondazione Carisal.
La serata dal titolo “Freschezza e gioventù” è dedicata al futuro della musica. In uno spirito di promozione delle eccellenze si darà spazio ad un ensemble di giovani artisti selezionati nel corso delle masterclass musicali MusicAlburni che si svolgono in estate presso Sicignano degli Alburni. Il pianista Davide Cesarano, pupillo del Maestro Catena, con Sofia Di Somma e Leonora Pacitto al violino, Luigi Ripoli alla viola, con i Maestri Francesco D’Arcangelo al violoncello e Gianluigi Pennino al contrabbasso, eseguiranno il Quartetto n. 8 in do minore, op. 110 di Dmitri Shostakovich e il Concerto n.4 per pianoforte e orchestra in Sol Maggiore op.58 (arr. per pianoforte e archi di V. Lachner) di Ludwig van Beethoven. “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio” il Quartetto inizia con la presentazione della “firma musicale” di Šostakovič. Questo breve motivo ripiegato su stesso si presenta per la prima volta strisciando tra le quattro voci a diverse altezze fino ad arrivare ad una prima affermazione univoca e unisona. Questa prima illustrazione del motivo DSCH in stile fugato può ricordare l’inizio del Terzo Movimento della Sinfonia n.9 di Beethoven: la musica del compositore pietroburghese rappresenta però una rilettura in chiave novecentesca, e certamente più aspra e terragna, della sonorità angelica e divina che traspare dai legni che danno inizio al movimento della Sinfonia di Beethoven. Per restare sempre sul modello beethoveniano, non è fuori luogo citare come possibile ipotesto l’incipit del Quartetto op.131, costruito anch’esso in stile fugato a partire da un motivo di 4 note. Subito dopo l’esposizione di questo micro-tema entriamo nel vivo di quella che abbiamo chiamato “autobiografia musicale”: la prima citazione che incontriamo fa riferimento alla Prima Sinfonia, la composizione preparata per l’esame finale del Corso di Composizione al Conservatorio che lo aveva reso celebre in poco tempo al panorama musicale europeo degli anni ‘20.La melodia vivace e baldanzosa della tromba che sentivamo nella Sinfonia viene qui rappresentata nel suo stato “invecchiato” e “devitalizzato”, privata com’è della spensieratezza e dell’ardore giovanile.Questo progressivo invecchiamento terminale appare chiaramente manifesto nel modo successivo di trattare l’organico cameristico: le dolenti discese e salite cromatiche del violino, che obbediscono al topos del dolore come successione per semitoni di note e che hanno l’aspetto quasi di un’ “antimelodia”, si stagliano sul panorama morto e arido che offrono gli altri archi i quali, suonando sulle corde vuote, non hanno possibilità di procurare nessuna vibrazione vitale al pianto del primo violino.È qui però che Šostakovič ci stupisce: egli non si ferma alla sola visione passiva della propria desolazione ma, inserisce una marcia più alta, facendo esplode un urlo nero senza speranza. “…al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?” Non c’è più spazio per le illusioni: Dresda, come il cuore del compositore, è un luogo completamente distrutto e privato della linfa vitale.Il violino riprende il movimento ritmico dattilico del primo movimento e lo porta allo stremo in una fuga senza direzione e senza meta alla quale fanno da contrappunto gli accordi strappati, alcune volte sul battere e altre in controtempo, del resto dell’organico. Ritorna anche la sigla DSCH, Šostakovič ce la ricorda presentandola ormai sotto forma di schegge impazzite che partono in tutte le direzioni più ossessiva o inquietante. L’atmosfera cupa e ottenebrata dal cromatismo più sfrenato acquista mano a mano potenziale elettrico e, dopo un terribile climax, esplode. Sugli accordi in terzine di viola e violoncello, che già di per sé emanano una potenza sonora di ripieno orchestrale, viene presentata una melodia dei due violini a due ottave di distanza costruita sulla scala orientale, e più propriamente ebraica, che Šostakovič aveva già usato nel suo Trio n.2 per Pianoforte, Violino e Violoncello.
Con un taglio netto e deciso Šostakovič interrompe il secondo movimento e dà il via ad un altro Allegro (questa volta Allegretto) dove l’orrore e il terrore lasciano lo spazio al grottesco e al macabro. “Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese.” L’immancabile motivo DSCH apre questo movimento con una sonorità decisamente aspra e stridula per lasciare immediatamente il posto ad un tempo ternario che invita alla danza. È proprio un valzer mortuario quello che si svolge nel terzo movimento, costruito, anch’esso sul DSCH, ma suonato in punta di piedi: piedi sì, ma di scheletri. Dopo la ripetizione di questo valzer sghembo si profila uno scenario così orrendo che, a parere di chi scrive, rappresenta il momento più terrificante dell’intera composizione. “Oscillavano lievi al triste vento.”“È il KGB che bussa alla porta di mio padre”. Pare che siano state queste le parole di Maxim Šostakovič quando gli venne chiesto cosa simboleggiassero i colpi pesanti che il padre aveva stampato all’inizio del quarto movimento. Mentre il resto dell’organico prorompe in queste brusche percosse il violino primo si porta dietro dal movimento precedente un interminabile la#, per poi accennare alla melodia gregoriana del Dies Irae, la sequenza più nota della messa esequiale.Di qui non si può andare più in basso, ed è così che dopo un nuovo intervento dei colpi sul fortissimo, s citazione sia del terzo movimento della Quinta Sinfonia, sia degli accordi orchestrali nella Marcia Funebre del Crepuscolo degli Dei wagneriano, appaiono due altre evocazioni il canto rivoluzionario “Vittima di una terribile prigione”, e la “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”, Katerina.“E dalla notte, lugubremente listata di nero, scorreva, scorreva un rigagnolo di sangue purpureo.” Un ulteriore e finale Largo, questo quinto movimento, che presenta gli stessi elementi del Largo iniziale.Non c’è direzione, non c’è metà, niente cambia e tutto resta uguale in uno stato di amorfismo piatto e incolore. Per un’ultima volta compare il nome del compositore ma questa volta si è davvero giunti alla fine e non c’è altro da aggiungere perché le forze hanno ormai lasciato definitivamente questo corpo invecchiato che, obbedendo all’indicazione “morendo” in partitura, si chiude nel silenzio del nulla di una morte atea.
Si passerà, quindi, alla esecuzione di un concerto rivoluzionario, Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra in sol maggiore, op. 58. Come avviene in molta parte della produzione matura di Beethoven è il ritmo a portare per mano il discorso, lavorando su cellule minuscole perfette per tornare a bussare in tutte le sezioni della forma. Anche il conflitto tra i temi principali nasconde un Dna comune; ed è proprio il continuo picchiettio ritmico della prima idea a garantire l’emersione di numerosi episodi visionari in cui Beethoven sembra dimenticarsi momentaneamente del tempo. Con l’Andante con moto l’impressione è che la sala da concerto si trasformi improvvisamente in teatro. Beethoven lavora sul drammatico confronto tra due personaggi contrastanti (Orfeo che placa le furie, avrebbe detto Liszt): da una parte i soli archi, alle prese con un’idea brusca e tagliente; dall’altra il pianoforte con il suo tema serafico e immateriale, che non tarda a contagiare la furia dell’orchestra. Ma proprio quando le forze sembrano essersi definitivamente spente, ecco emergere dall’ultima nota dell’Andante un Rondò energico e vivace, che nasce sottovoce prima di esplodere in tutta la sua robustezza emotiva. Il tema sembra perfetto per un finale virtuosistico da consegnare allo stupore del pubblico; ma non è nelle acrobazie del solista che risiede l’interesse di Beethoven: inflessioni cameristiche, episodi cantabili, oasi di distensione lirica e divagazioni sognanti si allineano in un percorso del tutto incapace di esuberanze puramente spettacolari.
La degustazione a cura di Sabrina Prisco con lo staff di Osteria Canali e del Sommelier Daniele Graziano per DGExperience, sarà a base di Alici di menaica e vini della Cantina Villa Raiano. Si inizierà con zeppoline fritte con alici di menaica, quindi, pane 200 grani con burro e alici, pasta con alici fresche, friarielli e finocchietto, polpette di alici con maionese di critamo e per concludere, mini tortino di alici fresche con ricotta di bufala e limone. I compositori eccellenti e i giovani artisti protagonisti di questa serata si armonizzeranno perfettamente con una realtà campana, Villa Raiano, che presenterà Metodo Classico Ripa Bassa, Falanghina del Beneventano IGP e Irpinia Campi Taurasini IGP, simbolo della valorizzazione di territori e vitigni antichi, rinomati e diversi fra loro con una visione moderna, rispettosa dall’ambiente e vocata all’estrema qualità. Degusteremo, tanto nella musica quanto nel calice, espressioni molto diverse fra loro, eppure intrinsecamente legate ad una visione artistica – tanto compositiva quanto territoriale – che ha nell’eccellenza e nel coraggio di evolvere il suo tratto distintivo più profondo.
COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA


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