SALERNO CLASSICA
IncontriAMO la Musica
Il Novecento Rivoluzionario
A Cavallo di Tre Secoli
Nicola Fiorino violoncello
Filippo Balducci Pianoforte
Salerno, Museo Diocesano, venerdì 21 novembre ore 20,30 – biglietto PostoRiservato euro 12 + Diritti.
Info.: cell.:+39 3928435584 - salernoclassica@gmail.com
Tre secoli in musica con il duo Fiorino-Balducci
Il violoncellista e il pianista, saranno ospiti del cartellone autunnale di Salerno Classica, firmato da Francesco D’Arcangelo e Costantino Catena presso gli spazi del Museo Diocesano, venerdì 21 novembre, alle ore 20,30, eseguendo musiche di Massimo De Lillo, Johannes Brahms e Francis Poulenc
Presso gli spazi del Museo Diocesano, venerdì 21 novembre, alle ore 20,30 vanno a concludersi i tre concerti omaggio di Salerno Classica al secolo breve, a quel tempo rivoluzionario che ci siamo lasciati alle spalle, dove la parola d’ordine si è rivelata il cambiamento, dal segno musicale alla meccanica e alla tecnica degli strumenti e del canto, che è stato il tema di questo prezioso cartellone smart, questo, firmato dal direttore artistico Costantino Catena, realizzato grazie al sostegno del Ministero MIC, della Regione Campania, patrocinato del comune di Salerno, in sinergia con Salerno Opera. Protagonista di questo concerto il violoncellista Nicola Fiorino e il pianista Filippo Balducci, con un programma che lancerà un ponte di musica lungo ben tre secoli attraverso una pagina contemporanea di composta da Massimo de Lillo, ispirata alla Dea Thèmis nella trascrizione per violoncello e pianoforte. Si procederà con la Sonata novecentesca di Francis Poulenc, in cui il cambiamento dallo stile scanzonato a quello meditativo del genio francese è più che evidente. Pierre Fournier appartiene all’ importante generazione di violoncellisti francesi del Novecento, fra i quali troviamo André Navarra, Maurice Gendron, Paul Tortelier: tutti ispiratori di un prezioso florilegio di nuove partiture per violoncello.
Nel 1940 Fournier chiede anche all’amico Francis Poulenc di scrivere per lui una sonata. Ma il progetto non va subito in porto. Poulenc non solo è di formazione pianistica, portato a scrivere per il suo strumento (o assimilabile, come il clavicembalo moderno di Wanda Landowska), per la voce umana, per strumenti a fiato. Ammette anche di avere difficoltà con il suono degli archi, di violino e violoncello in particolare. Il suono dolce e vibrato non fa per lui, che si dichiara (è) antiromantico, ostile a Beethoven, a Wagner, all’Ottocento tedesco. Accetta appena Debussy ma non le vaghezze impressioniste. Preferisce l’ironico disincanto di Satie. Non a caso aderisce al ben noto Group des six che vuole musica fresca e rilassata, all’aria aperta e da vivere nei parigini anni Venti liberati dall’incubo della Grande Guerra e inconsapevoli della futura catastrofe. Fra l’altro, proprio in quella fine degli anni Trenta, Poulenc vive la rivelazione della religione, che lo porta a ripensare le scelte stilistiche della gioventù e a orientarsi a temi spirituali. Il tutto assieme a crisi depressive altalenanti ma profonde, in assoluta antitesi con la sua immagine esterna di persona scanzonata e gioviale. Poulenc lavora alla nuova Sonata per violoncello per qualche mese. Abbandona il progetto per impegnarsi in una sonata per violino che, pur a fatica, riesce a completare nel 1943. Non è soddisfatto nel risultato, che rivede nel 1948 senza molta convinzione sua e di critici ed esecutori. Finisce col cedere alle insistenze di Fournier. Chiede e accetta consigli. Finalmente la sonata per violoncello vede la luce, il 18 maggio 1949 alla Salle Gaveau di Parigi, con l’autore al pianoforte e il dedicatario Fournier al violoncello. Successo buono, ma non tale da soddisfare Poulenc che rimette mano al testo nel 1953. Nella versione finale, è evidente l’intervento di Fournier nell’equilibrare i rapporti sonori fra i due strumenti. A differenza del violino, il violoncello non riesce a svettare nel registro acuto e di regola si trova a competere col pianoforte nei registri medio e grave, che ovviamente lo sfavoriscono. Ecco allora che Poulenc, con Fournier, ricorre spesso a trilli prolungati, a pizzicati, a spunti melodici quando al pianoforte sono riservati passi di accompagnamento puro. Che non sono poi così frequenti, perché spesso è la tastiera che anticipa incisi ritmici e sussulti armonici che il violoncello riprende e ha poca occasione per elaborare, perché la scrittura sempre dinoccolata del partner continua a propone aperture nuove, all’insegna della non mai dimenticata origine surreale del linguaggio di Poulenc. Si nota soprattutto nel movimento iniziale, dove la scelta di non utilizzare la forma sonata classico-romantica porta non a interazione dialettica ma a sovrapposizione di segmenti, a suo modo cubista. La forma è molto libera, con una lunga parte iniziale che precede una più lirica, uno spunto “alla marcia”, una ripresa variata dell’”Allegro” iniziale. Scrittura simile si ha anche negli altri due movimenti veloci. Il terzo è uno Scherzo rivisitato con passi di danza. Il finale, preceduto e chiuso da uno spunto neobarocco, si snoda come incrocio fra contrappunto e spunti di variazione. Si distingue il movimento lento, intitolato Cavatine, lontana memoria di un mitico quartetto di Beethoven e ancor più di un pezzo chiuso di opera italiana. Qui il violoncello canta una melodia finalmente ampia e distesa con il pianoforte che accompagna talvolta denso talaltra fluido, assumendo spesso funzione di controcanto, alla maniera (appunto) di duetto melodrammatico. Pur nel continuo cambiare dei toni e dei ruoli fra gli strumenti, il passaggio di Poulenc dallo stile scanzonato a quello meditativo non potrebbe essere più evidente. La serata sarà chiusa dalla Sonata per violoncello e pianoforte op. 99 n. 2 in fa maggiore di Johannes Brahms che appartiene senza dubbio alla produzione più valida del musicista, composta nel 1886 sulle rive del lago di Thun, nell'Oberland, poco dopo la Quarta Sinfonia, specchio di quel romanticismo tutto brahmsiano dall’ andamento a volte solenne o passionale, che si schiude a fantasie liete o, addirittura, infantilmente serene. L'Allegro vivace iniziale è costruito su tre temi e l'espressione musicale d'insieme è piuttosto vigorosa ed energica. Il violoncello si espande con eloquenza melodica e il suo canto non manca di una tensione drammatica molto efficace. I pizzicati del violoncello avviano l'Adagio affettuoso in fa diesis maggiore, determinato da una frase grave e malinconica, tipicamente brahmsiana. Dopo un episodio centrale in fa minore viene la ripresa seguita dalla coda. Nell'Allegro passionato si registra un'alternanza di prime parti tra il pianoforte e il violoncello; la melodia di quest'ultimo strumento è dolce ed espressiva e rende ancora più suggestivo il ritorno al tema sostenuto con veemenza dal pianoforte. L'Allegro molto conclusivo si presenta come un rondò e la sua esuberanza fresca e gioiosa è in contrasto con lo spirito dei tre tempi precedenti; nell'opinione di un biografo brahmsiano la frase melodica principale ricorda una vecchia canzone studentesca di terra germanica.
COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

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